Francesco Forgione nacque a Pietrelcina, in provincia di Benevento, il 25 maggio 1887. II giorno dopo, alle sei del mattino, fu battezzato nella chiesa di Sant’Anna, che sorge a pochi passi dalla sua casa. Erano passate solo tredici ore dalla sua venuta al mondo e il padre, Grazio, contadino, molto devoto, per paura che il figlio potesse morire senza essere battezzato, non lasciò tempo al tempo. La sua paura non era ingiustificata. A quell’epoca la mortalità infantile era molto alta e Grazio e la moglie, Maria Giuseppa, avevano perduto già due figli: Francesco, morto dopo diciannove giorni di vita, e Amalia, che era vissuta appena venti mesi. Soltanto Michele, che allora aveva cinque anni, era sopravvissuto (in seguito avranno altri quattro figli). Ma il piccolo Francesco non correva pericoli, anche se a sua salute sarà poi sempre malferma.
Il pastorello di Piana Romana
Papà Grazio lo mandò a pascolare le pecore, affidandolo a un amichetto più grande di lui, di nome Ubaldo Vecchiarino, detto “Baldino”. Francesco aveva appena sei anni! Sarà proprio Baldino che, in seguito, racconterà di aver visto Francesco tracciare a terra un segno di croce e rimanere per diverso tempo inginocchiato a pregare, incurante dell’amico che lo chiamava e lo scuoteva forte. La cosa si ripeté, e una mattina Francesco, notando che il suo amico lo scrutava in maniera insolita, gli disse: «Perché mi guardi in questo strano modo? Ché, ti spaventi quando io prego nostro Signore? Perché non preghi con me?». Il buon Baldino, scosso da queste parole, con gli occhi bassi, rispose: «Ma tu, quando preghi, sembra che muori, che non esisti più su questa terra!». Da quel giorno, però, Baldino si uni al suo amico nelle preghiere.
A cinque anni gli apparve Gesù
«Man mano che cresceva non commetteva nessuna mancanza, non faceva capricci, ubbidiva sempre; ogni mattina e ogni sera si recava a visitare Gesù e la Madonna; non usciva a far chiasso con gli altri ragazzi, che spesso, anzi, evitava, per non sentire le loro bestemmie». Questa è la testimonianza di mamma Peppa sui primi anni di vita del futuro padre Pio. Francesco, infatti, più che unirsi nei giochi agli altri bambini, rimaneva silenzioso in disparte. Preferiva starsene in chiesa, raccolto, a pregare. Aveva cinque anni quando, nella Chiesa di San’Anna, in un caldo pomeriggio d’estate, gli apparve Gesù: gli fece segno di accostarsi a lui e gli mise una mano sulla testa. Quel gesto esprimeva una scelta una chiamata alla quale Francesco, senza esitare, diede la sua generosa risposta, proponendo in cuor suo di consacrarsi e di donarsi tutto a Dio. Frequentava con puntualità il catechismo e ben presto imparò a servire Messa. A 11 anni fece la prima comunione a dodici ricevette la Cresima dalle mani dell’arcivescovo di Benevento, mons. Donato Maria Dell’Olio.
La barba di fra Camillo
A quindici anni, il futuro padre Pio venne gratificato dalle prime estasi, che si alternarono a celesti apparizioni e a diaboliche vessazioni. Francesco, mentre pregava, una volta chiese a Gesù: «Dove meglio potrò servirti, o Signore?». In quel momento gli tornò in mente la figura di fra Camillo da Sant’Elia a Pianisi, un questuante cappuccino che, dalla vicina Morcone, aveva bussato anche alla porta dei Forgione. Lo aveva fissato con i suoi occhi dolci, incastonati nel volto roseo ornato da una barba lunga e austera. Con una carezza, gli aveva donato un sorriso e una piccola medaglia. Mamma Peppa era stata generosa con lui e aveva riempito la sua bisaccia. Francesco meditò, lanciò uno sguardo d’intesa al Crocifisso, decise. Di ritorno dalla scuola, disse d’un fiato alla madre: «Ma’ voglio fa’ lu monaco! Sì, monaco di Messa, monaco cu la barba».
La visione del trionfo del giovane Francesco
L’imponenza della lotta che dovrà sostenere direttamente con satana gli viene mostrata da Gesù in una visione di straordinario sapore profetico, avvenuta poco prima del suo ingresso in noviziato. Egli viene condotto da Gesù in un campo vastissimo, ai cui lati sono schierati due gruppi di uomini, uno composto di ceffi orridi e neri e dall’aspetto sinistro, i demoni, l’altro da splendenti bianche creature, gli angeli. Ed ecco avanzare contro il giovinetto un uomo dall’aspetto terrificante e di smisurata altezza, che viene avanti minacciosamente vantandosi di essere tanto forte da non bastare ad atterrarlo neppure la forza di tutti gli uomini uniti insieme. Francesco si sente venir meno per la paura, ma Gesù lo rincuora e lo incita a battaglia. L’urto formidabile tra i due contendenti termina con il clamoroso
Fra Pio da Pietrelcina
Il 6 gennaio 1903, partì per il convento di noviziato di Morcone. Fu proprio fra Camillo ad accoglierlo. Dopo un corso di esercizi spirituali di preparazione, il 22 gennaio, Francesco depose i suoi abiti borghesi e, dopo averla baciata indosso il saio di San Francesco. Non si chiamò più Francesco Forgione ma Fra Pio da Pietrelcina. All’inizio del 1904 la comunità religiosa di Morcone, per tre volte a pieni voti, decretò l’idoneità di Francesco Forgione alla vita cappuccina. Dopo un anno dalla vestizione, il 22 gennaio si inginocchiò davanti all’altare della chiesetta annessa al convento, pose le mani in quelle del padre guardiano Francesco Maria da Sant’Elia a Pianisi e con voce incrinata dalla commozione, disse: «lo, fra Pio da Pietrelcina, faccio voto e prometto a Dio onnipotente, alla beata Maria sempre vergine, al beato padre san Francesco, a tutti i santi e a te, padre, di osservare la Regola dei Frati minori, dal signor papa Onorio confermata, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità». A queste, fecero eco le parole del padre guardiano che aggiunse: osserverai queste cose, ti prometto la vita eterna».
Il grande albero di San Giovanni Rotondo
Intanto nel 1906 la mistica sangiovannese Lucia Fiorentino ebbe una visione in cui veniva predetto l’arrivo di padre Pio a San Giovanni Rotondo: «Vidi nella visione un albero di smisurata grandezza nell’atrio del nostro convento dei Cappuccini e sentii una voce che mi diceva: “Questo è il simbolo di un’anima che ora è lontana e verrà qui: farà tanto bene in questo paese… Sarà forte e ben radicata come quest’albero e tutte le anime che verranno – sia di qui come da lontano – se si rifugeranno all’ombra di quest’albero, saranno liberate dal male. Se si umilieranno, da questo degno sacerdote riceveranno consigli e frutti di vita eterna. E guai a coloro che disprezzeranno i suoi consigli, il suo modo di agire: il Signore li punirà severamente in questa e nell’altra vita. La sua missione si estenderà da per tutto il mondo”».
Sette anni a casa
Dopo tre anni di studi a Sant’Elia a Pianisi il 27 gennaio del 1907 fra Pio emise la professione dei voti perpetui. Continuò gli studi a Serracapriola e a Montefusco. Il 19 dicembre dell’anno successivo ebbe il conferimento degli ordini minori e il 21 dicembre il suddiaconato. Durante questi anni fu sempre «buono, umile, obbediente, mite, studioso», Aveva il «dono delle lacrime» e i superiori lo dispensarono dalla meditazione in comune, date le sue condizioni di salute. Era infatti «sempre malaticcio», affetto da strane malattie di cui mai si ebbe un’esatta diagnosi e che mai guarirono completamente. Febbri altissime, dolori al torace, inverosimili sudorazioni e una tosse che sembrava volergli squarciare il petto. I medici consigliarono aria pura di campagna, aria nativa. Nel 1909 fra Pio venne accompagnato a Pietrelcina. La permanenza presso la casa paterna doveva essere breve e invece si protrasse per circa sette anni, salvo alcuni rientri nei conventi di Morcone, Gesualdo, Venafro e Campobasso.
Per sempre Padre Pio
Fra Pio non temeva la morte, anzi la desiderava per poter gustare il definitivo amplesso con l’Amore amato, ma prima voleva che il suo desiderio di essere sacerdote diventasse realtà. Non avendo ancora l’età canonica, scrisse quindi al padre provinciale chiedendo una speciale dispensa, che gli venne concessa dopo circa sei mesi. Il 30 luglio 1910 sostenne gli esami presso la curia arcivescovile di Benevento. Il 10 agosto successivo, nella cappella dei canonici del duomo della stessa città, fu ordinato sacerdote. Francesco Forgione era per sempre padre Pio da Pietrelcina. Quattro giorni dopo cantò la prima Messa solenne a Pietrelcina. Sull’immaginetta ricordo scrisse: «Gesù, mio sospiro e mia vita, oggi che trepidante ti elevo in un mistero di amore, con te io sia pel mondo Via, Verità, Vita, e per te sacerdote santo, vittima perfetta».
Un po’ di rosso in mezzo alle mani
A Piana Romana dopo quasi un mese dalla sua ordinazione sacerdotale accadde qualcosa di straordinario. Lo racconterà proprio il giovane sacerdote un anno più tardi in una lettera indirizzata al provinciale padre Benedetto l’8 settembre 1911: «ieri sera mi è successa una cosa che io non so né spiegare e né comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po’ di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte ed acuto dolore in mezzo a quel po’ di rosso. Questo dolore era più sensibile in mezzo alla mano sinistra, tanto che dura ancora. Anche sotto i piedi avverto un po’ di dolore. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso era da un pezzo che più non si ripeteva. Non s’inquieti però se adesso per la prima volta glielo dico; perché mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna. Anche adesso, se sapesse quanta violenza ho dovuto farmi per dirglielo! (…) Che segni sono questi, padre mio, lo ignoro».
Due domande di Padre Agostino
Quello che accadde nel settembre del 1910 a Piana Romana Padre Pio lo raccontò in una lettera a Padre Agostino, il 10 ottobre 1915, dove il giovane cappuccino rispose a due domande precise: «la prima vostra domanda è che volete sapere da quando Gesù cominciò a favorire la sua povera creatura delle sue celesti visioni. Se male non mi appongo, queste dovettero incominciare non molto dopo del noviziato (che terminò nel gennaio 1904). La seconda domanda è se l’ha concesso il dono ineffabile delle sue sante stimmate. A ciò devesi rispondere affermativamente, e la prima volta di quando Gesù volle degnarla di questo suo favore furono visibili specie in una mano, e poiché quest’anima a tal fenomeno rimase assai esterrefatta, pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile. D’allora non apparvero più; però, scomparse le trafitture, non per questo scomparve il dolore acutissimo che si fa sentire, specie in qualche circostanza ed in determinati giorni».
Militare vestito da frate
Il 6 novembre 1915 venne chiamato alle armi. Si presentò alla caserma di Benevento, dove un “feroce” capitano medico lo visitò e riscontrò la tisi. Lo inviò a Caserta, all’ospedale militare. Dopo otto giorni venne visitato da un colonnello che lo assegnò alla decima compagnia sanitaria di Napoli dove vi giunse il 6 dicembre, in “condizioni pietose”. Vestitva ancora il saio francescano. Qui ottenne un anno di convalescenza e ritornò a Pietrelcina.
Finalmente in convento
Padre Pio aveva 29 anni quando giunse per la prima volta nel Convento di Sant’Anna a Foggia. I suoi superiori premevano perché tornasse alla vita conventuale. Il 17 febbraio 1916, accompagnato da Padre Agostino da San Marco in Lamis, era convinto di fare un semplice viaggio di andata e ritorno, disposto a compiere un’opera di misericordia: l’assistenza all’anima della nobildonna Raffaelina Cerase, che già dirigeva spiritualmente per corrispondenza. Al suo arrivo in convento il frate di Pietrelcina trovò il ministro provinciale padre Benedetto da San Marco in Lamis che gli intimò di rimanere nella fraternità di Sant’Anna “vivo o morto”. Vi rimase per sette mesi. Durante la permanenza a Sant’Anna, per la prima volta, il 28 luglio salì a San Giovanni Rotondo e vi stette per qualche giorno. Il 4 settembre venne trasferito nella cittadina garganica. Questo luogo piacque molto a Padre Pio, che immerso nel raccoglimento, sognava un po’ di frescura per la sua anima infiammata di amore.
Un soldato sbagliato
Intanto l’anno di convalescenza militare terminò e il giovane frate sacerdote dovette presentarsi in caserma a Napoli. Qui fu ricoverato nell’ospedale della Trinità. Gli vennero accordati sei mesi di convalescenza. Fu in questo periodo, che al termine della convalescenza, dopo varie visite mediche e dopo essere stato assegnato alla decima compagnia di sanità ed aggregato al quarto plotone di stanza nella caserma di Sales, con le lacrime agli occhi fece la triste esperienza di sostituire il saio tanto amato con una goffa divisa militare. Tappabuchi, piantone, facchino, spazzino, addetto alle latrine. Erano questi gli incarichi della recluta Forgione: un “soldato sbagliato”. Il 15 marzo 1918 dopo l’ennesima visita si senti dire: “ti rimandiamo a morire a casa”. Era stato riformato
Il dono delle Stimmate
Il 20 settembre 1918 ricevette i sigilli della Passione di Cristo. Lo raccontò proprio lui un mese più tardi, il 22 ottobre 1918, a padre Benedetto: «era la mattina del 20 dello scorso mese in coro, dopo la celebrazione della santa Messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile ad un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, nonché le stesse facoltà dell’anima, si trovarono in una quiete indescrivibile. (…) E mentre tutto questo si andava operando, mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. La sua vista mi atterrisce; ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo. (…) La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. (..) La ferita del cuore getta assiduamente del sangue, specie dal giovedì sera sino al sabato».
Tre dottori a confronto
I superiori dell’Ordine dei frati cappuccini, allarmati e preoccupati, disposero un primo accertamento sanitario sulle «misteriose piaghe», che fu eseguito dal prof. Luigi Romanelli il 15 maggio 1919. Due mesi dopo, padre Pio venne visitato anche dal prof. Amico Bignami. Entrambi i medici stesero una relazione, dando all’inconfutabile fenomeno una diversa interpretazione. Quella del prof. Bignami venne impugnata dal prof. Romanelli e contestata, con acute osservazioni scientifiche, dal dott. Giorgio Festa che, il 15 luglio 1920, aveva pure visitato il cappuccino piagato. Il 2 giugno 1922 intervenne il Sant’Uffizio che, per porre fine alle nascenti manifestazioni di fanatismo, ritenne conveniente adottare misure prudenziali, che non portarono di certo sollievo alla sofferenza di padre Pio il quale, in silenzio, accolse gli ordini e si avviò lungo il percorso la “sua” via Crucis.
Il rapporto medico
Dalla relazione scritta nel 1919 dal dottor Luigi Romanelli: «Le lesioni che padre Pio ha sulle mani sono ricoperte di una sottile membrana di colore rossastro. Non vi sono zone sanguinanti, ne gonfiore, né reazione infiammatoria dei tessuti. Ho la convinzione, anzi la certezza, che queste piaghe non sono superficiali. (…) Le lesioni dei piedi presentano le stesse caratteristiche di quelle delle mani. (…) La ferita del fianco è un taglio netto, parallelo alle costole, lungo da sette a otto centimetri, inciso in tessuto molle, con una profondità difficile da stabilire e che sanguina con abbondanza. II sangue ha le caratteristiche del sangue arteriale e i labbri della piaga mostrano che non è affatto superficiale. (…) Ho visitato padre Pio cinque volte in quindici mesi e, pur avendo costatato qualche variazione, non so trovare una formula clinica che mi autorizzi a classificare queste piaghe».
Stimolo di conversione
Se le stimmate erano il segno più conosciuto che lo associarono alla passione di Cristo, e i miracoli di guarigione i segni che visibilmente rinviarono alla misericordia del Signore, in padre Pio si manifestarono altri doni, che lo collocano sullo stesso piano dei santi più straordinari che la tradizione della Chiesa possa annoverare. Le bilocazioni, i profumi, la febbre altissima (anche 48 gradi), le profezie, la capacità di scrutare nei cuori, le veglie e i digiuni prolungati oltre ogni umana resistenza hanno rinnovato in padre Pio le opere prodigiose che avvenivano in san Francesco d’Assisi, in sant’Antonio di Padova, in santa Teresa di Gesù, in san Giuseppe da Copertino. Disse papa Benedetto XV quando seppe di tanta fioritura di carismi: «Veramente padre Pio è uno di quegli uomini straordinari che Dio di quando in quando manda sulla terra per convertire i cuori».
Il capolavoro di Gesù
La mistica Eleonora Francesca Foresti ha testimoniato che cosi Gesù stesso le parlò di padre Pio: L’anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. È il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. E specchio della mia anima, in cui mi rifletto. La mia voce in lui è come l’eco riprodotta tra due monti. Il suo linguaggio dolce e tagliente, misterioso come il mio: conforta e abbatte. Ha lo stesso mio imperio, perché io, Gesù, vivo in lui. II suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo eloquio di un grande oratore. lo do valore a tutto ciò che emana da lui. È il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio spirito, come nessun’altra creatura. È il mio perfetto imitatore, la mia ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la mia compiacenza, la mia gloria.
Due anni di segregazione
Il 9 giugno 1931, al superiore del convento fu notificato un grave provvedimento: padre Pio veniva privato di tutte le facoltà di ministero, eccetto la santa Messa, da celebrarsi non in chiesa ma nella cappellina interna, senza la partecipazione di altre persone. La sera del 10 giugno il buon padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, avvilito e scoraggiato, comunicò l’ordine ricevuto all’interessato. Padre Pio alzò al cielo gli occhi pieni di lacrime e disse: «Sia fatta la volontà di Dio!». Poi si coprì il volto con le mani, chinò il capo e non fiatò più. Trovò conforto solo in Gesù che pendeva dalla croce. Davanti al Crocifisso, infatti, restò in coro fino a mezzanotte. La penosa segregazione durò dal 1 giugno 1931 al 15 luglio 1933. Il 16 luglio, giorno dedicato alla Vergine del Carmelo, padre Pio poté nuovamente celebrare in pubblico e riprendere la sua missione.
Altare e confessionale
Quindici, sedici, alle volte anche diciannove ore al giorno trascorse fra l’altare e il confessionale. Era impressionante il ritmo di lavoro sostenuto da padre Pio. Si alzava alle 3.30 e scendeva nella chiesetta per prepararsi con la preghiera alla Messa, che iniziava alle 5. L’ora antelucana era stata voluta dallo stesso padre Pio per dare la possibilità ai contadini di assistervi prima di andare nei campi. Si calcola che complessivamente venti milioni di persone abbiano partecipato alla Messa celebrata da padre Pio. Al termine, salvo brevi pause per i pasti e la preghiera personale, padre Pio si dedicava totalmente alle anime dei peccatori. Si calcola che si siano accostate al suo confessionale cinque milioni di persone. Per disciplinarne l’afflusso, si rese necessaria l’istituzione di un ufficio per il ritiro di un biglietto indicante l’ordine progressivo.
Un pianto dirotto
Dalla testimonianza di padre Eusebio Notte: Una volta la situazione si capovolse. Volle lui confessarsi da me. Al mio tentativo di scapparmene (ero giovanissimo) lui cominciò: Confiteor Deo omnipotenti..”. Fui costretto a fermarmi. Terminata l’accusa dei peccati, accadde qualcosa che mi sconcertò profondamente: padre Pio scoppiò in un pianto dirotto. Per consolarlo, tentai di dirgli che non era proprio il caso, data l’esiguità delle sue colpe. Allora intervenne lui: “Figlio mio, tu pure pensi che il peccato sia la trasgressione di una legge. No! Il peccato è il tradimento dell’amore. Cosa ha fatto il Signore per me, e che faccio io per lui…”. Veramente qualche cosa la faceva: gli aveva donato la vita, il sangue… Ma era ben poca cosa, in confronto a quello che avrebbe voluto fare, in risposta all’amore di Gesù».
Cinquant’anni di croce
Nel 1960, padre Pio raggiunse una delle stazioni più dolorose della “sua” via Crucis. Subì nuove restrizioni, umilianti limitazioni, assurde proibizioni. segregato tra catene e cancelli, interrogato e schernito, insultato e deriso, abbandonato dagli amici, obbediva, perdonava, taceva. Solo una volta, al culmine di un insostenibile martirio interiore, ebbe a dire: «Non ce la faccio più. Mi hanno tradito tutti!». In occasione del 50° anniversario della sua vestizione religiosa, sull’immaginetta ricordo scrisse: «Cinquant’anni di vita religiosa, cinquant’anni confitto alla croce, cinquant’anni di fuoco divoratore per te, Signore, per i tuoi redenti. Che altro desidera l’anima mia se non condurre tutti a te e pazientemente attendere che questo fuoco divoratore bruci tutte le mie viscere nel cupio dissolvi?».
Il rosario perenne
Padre Pio recitava il rosario ovunque: in cella, nei corridoi, in sacrestia, salendo e scendendo le scale, di giorno e di notte. Richiesto quanti rosari recitasse fra il giorno e la notte rispose lui stesso: «Alle volte 40 e altre volte 50». Richiesto come facesse, all’interrogante rispose: «Come fai tu a non recitarli?», Un mistico ha una vita che va oltre le leggi dello spazio e del tempo, per cui si spiegano le bilocazioni, le levitazioni e altri carismi, di cui era ricco padre Pio. A questo punto diventa chiaro che la richiesta di Cristo, per chi lo segue, di «pregare sempre», per padre Pio era divenuta «rosari sempre», cioè Maria sempre nella sua vita. Padre Tarcisio da Cervinara, uno dei cappuccini più intimi di padre Pio, racconta che il padre gli confidava di fronte a tanti rebus: «lo posso fare tre cose insieme: pregare, confessare e andare in giro per il mondo».
Le stimmate scomparirono
Il 20 settembre 1968 ricorreva il giubileo della sua “crocifissione” e i figli spirituali da ogni città convennero a San Giovanni Rotondo. Padre Pio, alle cinque, celebrò la Messa piana nella chiesa gremita. A sera si commosse profondamente vedendo dalla sua finestra una folla immensa che lo salutava. L’indomani ebbe una crisi d’asma e, stringendo la mano del padre guardiano, disse: «E finita!». Il 22 settembre nel santuario di Santa Maria delle Grazie si riversarono, per il loro convegno internazionale, i Gruppi di preghiera. Data la solennità della circostanza, il superiore chiese a padre Pio di celebrare la Messa in canto. Pur se stremato ed esangue, il padre come sempre obbedì. Durante il santo sacrificio sollevò le braccia e qualcuno si accorse con stupore che le sue mani, fresche e rosee come quelle di un bambino, non avevano più le stimmate.
Segno di risurrezione
Alle 2.30 del 23 settembre 1968, padre Pio chinò dolcemente la testa sul petto e spirò. Nella veranda attigua alla cella n. 1 venne preparata la camera ardente. Padre Pio appariva bello, sereno, nella solennità della morte. Sulle spalle gli misero la stola sacerdotale, tra le mani un crocifisso, la corona del rosario e la Regola francescana. Il dottor Scarale abbassò i guanti dalle mani e le calze |dai piedi del padre. Con sorpresa constatò la scomparsa delle stimmate e l’assenza di qualsiasi cicatrice. Il fatto era «fuori da ogni tipologia di comportamento clinico e di carattere extra naturale». Padre Giacomo Piccirillo fotografò il corpo del caro confratello: la missione di padre Pio era terminata e la sua carne, nelle parti colpite dalle misteriose ferite, appariva rigenerata. Quel corpo, martoriato ed esanime, mostrava cosi un prodigioso germe di resurrezione.